16 Giu

XI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

17 giugno 2018

Mc. 4, 26-34

“ Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce …”

“ Come rassomiglieremo il Regno di Dio? O in quale parabola lo metteremo?”. Così dice letteralmente il versetto 30 del nostro brano. Cioè: come si può parlare del Regno? Che linguaggio usare per annunciare il Vangelo? Gesù utilizza il linguaggio delle parabole, un linguaggio sapienziale, concreto, aderente al reale. Gesù parla di Dio narrando storie di re, di pescatori, di contadini. Usa un linguaggio umano, semplice, comprensibile. Diversamente la buona notizia rischia di essere soffocata. Ma il linguaggio delle parabole rivela mentre nascondo, e richiede perciò un’intelligenza umile, non arrogante, capace di cogliere sia la terra di cui narrano che le il cielo a cui alludono.

Le due parabole che la liturgia di oggi ci presenta e sulle quali ci invita a riflettere, parlano  entrambe di un ‘seme’ gettato nella terra.

Nella prima parabola la crescita del seme non dipende dall’opera dell’ uomo: “Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce” (v.27), ma soltanto dalla fertilità del suolo.

Nella seconda parabola invece il piccolissimo granello di senapa, privo di ogni appariscenza, diventerà “il più grande di tutti gli ortaggi” (v. 31). Siamo di fronte ad una grande visione di speranza, che incoraggia ciascuno all’atteggiamento della pazienza.

Dio è all’opera nella storia, nonostante le apparenze contrarie.

La realizzazione del suo regno non è questione di programmi o di opere, ma piuttosto di ascolto attento della parola di Dio, e di disponibilità a lasciarla crescere in noi.

Il messaggio centrale della parabola prospetta al credente una mentalità nuova, quella di non ascoltare tanto la sua voglia di fare, ma di essere disponibile, con umiltà e pazienza, a porre le condizioni in cui la parola di Dio possa liberamente portare frutto.

 

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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