30 Mar

V Domenica di Quaresima – Anno A

Dal vangelo secondo Giovanni, Capitolo 11, versetti 1-45

“Un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. … le sorelle mandarono a dirgli: “Signore, ecco, colui che tu amai è malato” … Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”

 La risurrezione di Lazzaro, è il settimo e più grandioso dei segni tramandatici da Giovanni, e, da parecchi punti di vista, uno dei più importanti racconti del quarto Vangelo.
Nel Vangelo di Giovanni il miracolo è segno che Gesù è la risurrezione e la vita. Del tema della vita l’Evangelista tratta quando parla della rinascita (Nicodemo), dell’acqua viva (Samaritana), del Verbo datore di vita, del pane che dona la vita, della luce della vita (8, 12), di Gesù che dona la vita in abbondanza (10, 10). La vita è possesso di Dio e sigillo della salvezza messianica, quando sarà sconfitta la morte, che è stata sigillo della maledizione. La risurrezione di Lazzaro è anche segno, come la trasfigurazione nei sinottici, della vittoria gloriosa di Gesù.

Il nostro brano, ci prepara, attraverso i ‘segni’,  cioè i gesti di Gesù che rendono presente il mistero della Pasqua, a comprendere la Sua ‘Ora’. Questi ‘segni’ ci invitano a camminare all’interno del mistero di Cristo, Verbo di Dio fatto uomo, crocifisso e risorto per la nostra salvezza.

I versetti 1-6 sono l’introduzione narrativa di tutto il brano.

Quando Gesù viene a sapere che il suo amico Lazzaro è malato, si trattiene volutamente due giorni: questo particolare incomprensibile dice in realtà una domanda che spesso sgorga del nostro cuore: “Signore, perché non interviene, perché sembri non dare ascolto alle nostre richieste?”. Il vangelo di Giovanni ci ricorda qui che le nostre vie non sono le sue vie, non sempre il Suo agire è a noi comprensibile, ma nelle fede si arriva a riconoscere (o almeno ad accettare!), che quanto accade è per il nostro bene ultimo (per la nostra salvezza).

Nei versetti 17-27 abbiamo l’incontro di Gesù con Marta, che avviene fuori del villaggio. Sembra strano che Gesù non entri, ma in quella casa si sta pensando alla morte come a una realtà definitiva, ma egli sa che la morte non è l’ultima parola sull’uomo. Ecco perché non entra nella casa del lutto!

Al versetto 28 vediamo Marta che va a chiamare Maria: lei, che rappresenta in questo momento la fede di tutta la Chiesa, avendo incontrato il Signore della vita, diventa tramite e testimone per la sorella di questo incontro. E’ quanto è richiesto anche a noi!

Nei versetti seguenti (vv.33-44) vediamo Gesù condividere il doloro per la morte, ma il suo dolore, pur essendo profondissimo (per due volte Giovanni insiste sul turbamento profondo di Gesù), non è disperato, è una sofferenza colma di speranza.

 “Egli andò per trarre fuori il morto dal sepolcro e interrogò: “Dove lo avete deposto?E comparvero le lacrime sugli occhi di Nostro Signore”(Gv 11,34-35), le sue lacrime furono come la pioggia e il sepolcro come la terra. Egli gridò con voce di tuono e la morte tremò alla sua voce; Lazzaro si erse come il grano, uscí fuori e adorò il Signore che lo aveva risuscitato.” (Efrem, Diatessaron, 17, 7) .

Lazzaro che esce dalla tomba ancora bendato e viene consegnato agli uomini con l’ordine di sciogliergli le bende, indica l’invito che Gesù ci fa perché collaboriamo alla sua opera di liberazione dell’uomo. Questo dovrebbe essere il compito dei credenti: aiutare gli uomini a vivere nella volontà di Dio, con responsabilità e libertà.

 La voce di Gesù continua a gridare nell’intimo di noi, nella chiesa, nel mondo intero: è una voce che denunzia il male e chiama alla vita, al bene, alla verità, alla giustizia. Bisogna saper rispondere come ha fatto Lazzaro, uscire anche se bendati e legati dalle nostre catene abituali: bisogna non lasciar cadere a vuoto l’invito severo che chiama alla santità.

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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