12 Mag

Simone Weil e Matteo Farina: inaudito intreccio della fede

Simone Weil è considerata una delle pensatrici più interessanti del panorama filosofico del Novecento, la Weil mette il lettore nella difficile condizione di confrontarsi con un pensiero originale, fuori dagli schemi, non privo di contraddizioni ma non per questo meno affascinante e ricco di suggestioni. Nata a Parigi nel 1909 da una ricca famiglia agnostica di origini ebraiche, fu professoressa di filosofia, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Una vita vissuta nella generosità, nell’abnegazione, nelle sofferenze, che si conclude con la morte in Inghilterra nel 1943 a soli 34. Non si può parlare della filosofa senza tener presente la sua vita interiore e la sua svolta mistica avvenuta a Solesmes, durante la Settimana Santa del 1938;  «Cristo è disceso e mi ha presa», scriveva nella sua Autobiografia spirituale, testimoniando come, per lei, l’esperienza mistica fosse stata un incontro «da persona a persona».

Dopo la svolta mistica, Cristo divenne il suo chiudo fisso: incontrare Cristo e la sua Croce cambia la vita, affermerà infatti Simone. La filosofa nel suo pensiero sottolineerà che nonostante il dolore fisico, morale e spirituale prodotto dalla sofferenza, nonostante l’uomo sia spesso vittima della più atroce sofferenza, non può non amare, così come il Cristo crocifisso sulla croce; allora, è in quel momento che è data alla persona l’opportunità di sperimentare quel bene che è, allo stesso tempo, amore e sofferenza: è l’amore di Dio, quell’amore che Dio prova per ciascuno di noi.

L’esperienza mistica di Simone Weil sembra essere vicina a quanto accaduto a Matteo Farina; egli nella sofferenza ha sperimentato la presenza di Dio, una presenza che diventa forza e voglia di vivere. Il giovane Matteo, nonostante la malattia, afferma: “No! Non arrenderti, affidati a Dio”. Ed è proprio questo affidamento a Dio che contraddistingue Matteo, il quale, malgrado le sofferenze fisiche, ha sempre una parola di gioia, di conforto, di speranza nei confronti di tutti gli sguardi che ha incrociato nella sua breve, ma intensa esistenza.

Simone Weil e Matteo Farina. Due esistenze che appaiono distanti; l’una, la grande e controversa filosofa del Novecento, l’altro, un giovane toccato dalla malattia e dalla Grazia. Due esistenze che, in realtà, si ritrovano rannodate attraverso il sottile, ma forte, nodo della fede; nonostante vite lontane, con contesti, tradizioni, culture e vicende quotidiane che a primo impatto sembrano intangibili, si ritrovano unite da un unico intreccio: l’amore di Dio. Un amore che ci apre a vivere la presenza di Dio, nonostante di mezzo ci sia talvolta la sofferenza, che stravolge in modo inesorabile non solo noi, ma anche chi ci sta accanto.

Ancora un aspetto accomuna Simone a Matteo: la determinazione di portare avanti ciò in cui si crede. La filosofa ha cercato di far comprendere agli uomini e alle donne del suo tempo che solo Cristo salva; Matteo non si è mai dato per vinto e, nonostante le difficoltà incontrate, è stato sempre un testimone di fede per i suoi amici e coetanei. All’età di quindici anni scriveva questo suo desiderio: «Spero di riuscire a realizzare la mia missione di “infiltrato” tra i giovani, parlando loro di Dio (illuminato proprio da lui); osservo chi mi sta intorno, per entrare tra loro silenzioso come un virus e contagiarli di una malattia senza cura, l’Amore».

Entrambi si sono interrogati sul valore e sul significato della fede, giungendo alle stesse conclusioni: non si può dare una definizione di fede; essa è semplicemente, come Matteo dirà, «vivere aggrappati a Dio, per diffondere la sua parola».

Simone Weil afferma che Dio è lì ad aspettare, a mendicare il nostro amore, come un mendicante sta in piedi in una stanza ad aspettare un pezzo di pane. Dio mendica il nostro amore e Matteo l’ha capito appieno e lo ha vissuto donandogli ogni giorno della sua vita: «Vorrei immergermi nel tuo amore mio Dio, per poter vedere il mondo come lo vedi tu, anche per poco, per capire come fai a vincere tutto con l’amore».

La consapevolezza di questo amore accompagna entrambi, con quella voglia e sete di conoscenza che li contraddistingue, con quel desiderio di riscoprire quel rapporto che dà senso a tutte le nostre azioni, vissute nella gioia.

Nei Quaderni, la filosofa francese afferma: «Coloro che amano Dio non sono mai stanchi»; questa affermazione si cuce in maniera unica e indissolubile su Matteo, il quale, malgrado la malattia, non si è mai stancato di portare Dio nella vita degli altri.

Non si può non concludere con le parole di Matteo; egli, nella sua semplice e disarmante fede, aveva rintracciato una maniera semplice di conoscere Dio senza ricorrere ad alcuna sofisticata teoria della conoscenza: «Conoscerlo significa amarlo».

don Mino Schena

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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