22 Set

XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

23 settembre 2018

Dal Vangelo secondo Marco 9,30-37

“… Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti. E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.

Nel vangelo di oggi continua il viaggio di Gesù verso Gerusalemme. La prospettiva è quindi la morte del giusto. In questo contesto si colloca l’interrogativo sulla scala dei valori che deve guidare il discepolo: chi è il più grande? La risposta di Gesù indica il bambino come paradigma della fede, operando così un rovesciamento delle prospettive umane: se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo e il servo di tutti!

La comunicazione tra i discepoli e Gesù è in difficoltà: essi non capiscono le sue parole e per paura non lo interrogano.

Un piano di Dio che preveda il rifiuto del suo Cristo da parte degli uomini(v.31)  e un Dio che sembra restare inerte davanti al fatto che gli uomini mettano le mani sul Figlio dell’uomo è, però, talmente sconcertante che i discepoli di Gesù non possono che tacere. Essi non possono capire che Dio faccia sperimentare al proprio eletto quello stesso abbandono nelle mani dei pagani che, nella sua ira aveva deciso di riservare a Israele a causa della sua infedeltà.

Ma gli ‘annunci della passione’ hanno  proprio lo scopo di ricordare ai discepoli che la via della croce è un passaggio obbligato se si vuol essere fedeli a Cristo. Purtroppo il modo di seguire Gesù da parte dei discepoli è deludente, come risulta da quanto scrive Marco: egli ci dice infatti che , lungo la via, senza che Gesù li senta, discutono dei loro ambiziosi progetti (v.34).

Gesù allora chiama a sé i dodici (v.35) e li invita anzitutto a superare la logica competitiva, più che a rovesciare le gerarchia: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il sevo di tutti” (v.35), e propone loro l’inatteso modello del ‘bambino’. Il fanciullo rappresenta il rovesciamento dei loro sogni in una prospettiva autenticamente evangelica. Il bambino è rappresentato qui come colui che non ha una grandezza , dato che nella cultura dell’epoca non contava nulla.

L’abbraccio è un atto di benedizione verso il bambino, ma anche un invito alla comunità, rappresentata dai Dodici, ad assumere atteggiamenti di premura e di attenzione vero i ‘piccoli’ della comunità.

Il servizio che rende grandi è dato dall’accogliere i piccoli, cioè coloro che non contano niente e che non hanno da contraccambiare.

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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