18 Set

XXV Domenica anno C

Dal vangelo secondo Luca 16, 1-13

La parabola del ‘fattore infedele’ presentata nel Vangelo di oggi pone come messaggio centrale la radicalità del Regno: l’idea dominante è che la vera furbizia sta nel sapersi liberare dalla schiavitù della terra, in particolare dalla schiavitù del denaro, per operare il bene. I beni, di cui il denaro è simbolo, vanno messi a disposizione dei bisognosi, devono servire alla comunione fraterna.

Gesù non demonizza il denaro, ma mette in guardia dalla potenza che esso esercita.

La nostra parabola è ‘un piccolo pezzo drammatico’ in cinque scene:

prima scena: il protagonista è un uomo ricco, con uno ( o più) denunciatori del fattore. E’ un inizio dall’atmosfera drammatica.

Seconda scena: i protagonisti sono l’uomo ricco e il fattore. Il primo ha convocato il sovrintendente e gli già comunicato la  sentenza:  egli è destituito dal suo incarico. E’ questa una scena di condanna irrevocabile.Terza scena: i protagonista è l’amministratore tutto solo. Egli, accantonate tutte le soluzioni non idonee, giunge ad una decisione lucida ed efficace. Dato che egli è già stato licenziato, cerca gente che lo accolga in casa egli offra un tetto.

Quarta scena: protagonisti sono l’amministratore e i debitori del padrone. Il fattore fa loro dei condoni veramente importanti, concretizzando così la decisione presa in precedenza.

Quinta scena: protagonisti sono il padrone con altri non precisati. Contro ogni attesa, il padrone fa l’elogio del fattore. Egli sa di essere stato da lui imbrogliato, ne ammira però la scaltrezza. Questa è paradossalmente, una scena di glorificazione.

E’ chiara la morale della parabola, che è esplicita al versetto 8b: “I figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce.”

Il confronto è sui due piani dell’agire: negli affari del mondo si trovano dei furbi, ma negli affari che riguardano Dio e il Regno, i furbi scarseggiano, le persone scaltre sono rare.

Il versetto 8b precisa che il padrone loda l’amministratore, sebbene costui lo abbia imbrogliato dilapidando le sue sostanze, perché riconosce l’abilità del sovrintendente nell’attuare la truffa.

Ci si aspetterebbe che Gesù concluda la parabola con parole di aspra riprovazione. Invece con sorpresa egli loda l’imbroglione, anche se la sua lode è posta sulla bocca del padrone della parabola.

I furbi, nella dimensione del Regno, sono coloro che approfittano dei beni del padrone, cioè del perdono di Dio, della sua misericordia e li sanno mettere a frutto prontamente. Essi come ‘furbi’ sarebbero condannabili, ma sanno aggrapparsi all’unica soluzione possibile. Bisogna perseguire con determinazione la via del Regno, cioè prendere a piene mani l’offerta della misericordia di Dio ed accoglierla nella nostra vita.

I versetti 9-13 raccolgono vari detti di Gesù; essi mostrano un applicazione della parabola in un’ottica cara a Luca: la vera furbizia sta nel sapere liberarsi dalla schiavitù  del denaro, nel saper utilizzare per opere di bene la ricchezza. I beni, dei quali il denaro è un simbolo, devono essere messi a disposizione di chi ne ha bisogno: questo è il buon uso della ricchezza e la libertà nei confronti dei beni materiali, come vuole il vangelo.

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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