17 Ott

XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

18 ottobre 2020

Dal Vangelo secondo Matteo, Capitolo 22, versetti 15-21

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”

Al tempo di Gesù i giudei erano obbligati a pagare la tessa con la moneta romana, che portava impressa l’immagine dell’imperatore: agire così non significava forse riconoscere la sua sovranità su Israele, mentre per loro l’unico re del popolo era Dio? Da ciò la domanda rivolta a Gesù, e l’importanza che assume la sua risposta per le comunità cristiane del suo tempo, che professavano l’unico Dio, contro il culto degli dei, tra i quali il primo era considerato l’imperatore.

Sotto l’apparenza ipocrita di una lode all’imparzialità di Gesù (v.16) il quesito posto ha intenzione di rovinarlo davanti al popolo e all’autorità.

Prima di rispondere Gesù, a cui non sfugge l’insidia che sta sotto la domanda, chiede ai suoi avversari di mostrargli la moneta del tributo (v.,19) e di dirgli di chi siano l’immagine e l’iscrizione. Essi non possono che rispondere: “Di Cesare” (v.21).

E Gesù dichiara con fermezza: (v.21 b): “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio”. Questa duplice raccomandazione manifesta la Sua accettazione dei regni provvisori di questo mondo, e nello stesso tempo il suo atteggiamento critico nei loro riguardi.

Gesù invita a rendere allo Stato tutto quello che gli si deve, e solo ciò che gli si deve.

Così quelli che l’hanno interrogato (e anche noi!) vengono messi in libertà di fronte a Dio: sta a loro (a noi) assumere in modo coerente le proprie responsabilità civili nella società.

La seconda parte della sua affermazione:  “Rendete a Dio quella che è di Dio” va capita bene: Gesù non vuole separare nettamente la chiesa dallo stato, né vuole metterli sullo stesso piano; con la sua  dichiarazione vuole affermare il primato di Dio su ogni autorità umana, fosse pure l’imperatore.

Gesù, che è il Messia, non viene a prendere il posto di Cesare, il Suo Regno non entra in concorrenza con quello dell’imperatore: è di un altro ordine e si pone su un altro livello.

Egli dirà davanti a Pilato: “Il mio regno non è di questo mondo!” (Gv.18,36).

Il vangelo che la liturgia ci propone oggi ci invita a non essere come coloro che fanno della loro fede religiosa una scusa per non compiere i loro doveri sociali, professionali o familiari. Al contrario, saremo veramente liberi e disponibili al servizio di Dio se sapremo servire altrettanto bene i nostri fratelli, e viceversa.

E’ infatti importante non dimenticare che ‘rendere a Dio ciò che è suo’ esige anche che l’uomo umanizzi il mondo e i suoi rapporti con esso.

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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