08 Set

XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

9 settembre 2018

Dal Vangelo secondo Marco 7, 31-37

“…Gli portarono un sordomuto,e lo pregarono di imporgli la mano…… Guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse:”Effatà”, cioè:”Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi.si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente……”.

La condizione del sordomuto del vangelo è l’immagine dell’uomo che deve essere aperto da Dio per divenire capace di ascoltarlo: il sordomuto non va spontaneamente da Gesù. In questo egli è la parabola della situazione spirituale di coloro che sono così chiusi all’ascolto da non avvertire la necessità di incontrare la Parola che salva. Quest’uomo simbolizza la situazione per cui la salvezza è apertura e affidamento ad un altro.

Quanto succede all’uomo guarito da Gesù è in realtà ciò che egli vuole operare con l’umanità intera quale destinataria del vangelo.

La condizione di quest’uomo è di essere un sordomuto: è una situazione che allude alla condizione dei pagani, i quali non ascoltano la parola di Dio e sono come sordi alla rivelazione divina, non sanno neppure parlare a Lui, dirgli una parola di fede e lodarlo. Ma con l’arrivo di Gesù, per i pagani come per questo povero sventurato, si rende vicina la promessa della salvezza, la speranza di una vita nuova.

“Gli condussero un sordomuto”(v.31): il fatto che altri debbano incaricarsi di condurlo a Gesù sembra voler indicare alla comunità il suo compito: deve farsi carico delle cecità e sordità che  affliggono l’umanità.

Se guardiamo alla modalità della guarigione descritta (vv.33-34), rimaniamo stipiti per la grande quantità di gesti che Gesù compie e che contrasta con la sobrietà di altri miracoli, ciò perché l’evangelista ci vuol far capire che il miracolo più grande è quello di aprire un uomo all’ascolto e di conseguenza alla confessione della fede.

Gesù “guarda verso il cielo” per rivolgere una preghiera al Padre, dimostrando così che la guarigione di questo infelice avviene per la potenza che procede dal Padre stesso. Il suo alzare gli occhi al cielo non è solo un pio gesto religioso, ma una rivelazione dell’origine della potenza che opera in lui.

Marco ci ha poi conservato l’”Effatà”, uno degli ‘ipsissima verba Jesu’ (le parole di Gesù  in lingua aramaica). L’aver trasmesso il detto in aramaico è quasi per permetterci di assaporare qualcosa di quella parola potente e sovrana di Gesù, che libera l’uomo dalle sue schiavitù.

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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