04 Set

XXIII Domenica anno C

Lc. 14, 25-33

C’è qualcosa che balza subito all’evidenza leggendo l brano evangelico che la liturgia ci propone oggi: Gesù si volge verso la folla e dice alcune tra le parole più impegnative di tutto il vangelo. C’è però una differenza abissale tra la radicalità evangelica e ogni forma di fondamentalismo religioso.. Il radicalismo o fondamentalismo è l’aspetto deteriore della radicalità.

Il problema è evidentemente un problema di misura. Il non essere stati capaci di tagliare il cordone ombelicale con le proprie famiglie di origine nuoce al rapporto coniugale del familiare; lo stesso vale per chi diventa prete o suora o consacrato laico. A nessuno viene chiesto di uccidere i legami affettivi, a tutti viene però chiesto di fare chiarezza sulla qualità del suo essere discepolo, e come ciò cambia, senza danneggiarlo, ogni legame affettivo.

Gesù  non ci chiede il rifiuto totale, ma la prontezza a relativizzare gli affetti di fronte al valore essenziale del Regno.

La radicalità evangelica si nutre di discernimento e si fonda su una corretta gerarchia dei valori.

Il discepolo è invitato ad andare oltre la fase di riflessione e di calcolo preliminare, pur necessari, egli deve valutare non tanto ciò che possiede – come chi progetta una torre o va alla guerra- ma ciò che è pronto a lasciare.

Le due parabole ci invitano ad essere consapevoli che è davvero grande la posta in gioco nel momento in cui ci si accinge a seguire Gesù.

Chi ha provato almeno una volta a vivere una radicale appartenenza, a dare il primato vero a Dio, può capire fino in fondo e fare sue le parole di Paolo quando dice: “Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Gesù Cristo, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui… “  (Fil. 3, 8s.).

E’ una pagina evangelica di grande attualità quella di oggi!

La conclusione di Gesù (ai versetti 34-35 non riportati purtroppo nel nostro brano) è lapidaria e centra il problema dell’identità profonda di ciascuno di noi: “Buona cosa è il sale, ma se anche il sale perde il sapore, con che cosa verrà salato? Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti”.

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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