23 Apr

III DOMENICA DI PASQUA A

Lc.24,13-35

Il vangelo dei discepoli di Emmaus, su cui riflettiamo, ci presenta l’oggi di Dio che entra nel nostro vivere quotidiano. Due di loro. Come sempre ricordiamo l’importanza dell’essere inviati a due a due, ma in questi caso i due non vanno ad annunciare ma, volgendo le spalle a Gerusalemme se ne vanno tristi, fanno un cammino inverso a quello di Gesù. Dalla gioia dell’incontro con Cristo, alla desolazione alla tristezza dell’essere soli. Soli ma in cammino. Si, perché l’uomo è un viandante in cerca di senso. L’uomo porta dentro sé il desiderio di scoprire, di realizzare i desideri di vita.

Non hanno compreso quanto è accaduto, ma conversano, parlano, in un certo senso non possono dimenticare quanto hanno vissuto. Mentre continuano a camminare e a parlare Gesù avvicinatosi, camminava con loro. Il Signore si fa presente, si fa compagno di viaggio lungo i nostri percorsi, è presente nel nostro buio. Il Signore vuole far esprimere ai due ciò che vivono, ciò che si ributtano addosso l’uno all’altro. Desidera che l’uomo parli a lui con cuore sincero. . Noi speravamo: si, la croce ha tolto in loro la speranza e sembra aver cancellato tutto. Rievocano quanto le donne riportarono sconvolgendo il loro dolore, il loro pianto.

Solo il Signore, il Risorto può far comprendere il senso di ogni cosa.

«Stolti, senza testa e lenti di cuore». Parole forti da parte di Gesù ma che hanno la capacità di disgelare il cuore e di aprile la mente alla verità di Dio. Gesù spiega e dice: non bisognava forse che il Cristo patisse queste cose ed entrasse nella sua gloria? Un passaggio d’amore scritto nella storia per la salvezza dell’uomo. Le scritture trovano compimento in Cristo. La morte di Cristo annunciata dai profeti ora è trasfigurata dalla luce pasquale. Ed ecco che sarà questa ad aprire gli occhi dei discepoli. «Dopo aver parlato Gesù fece come per andare, ma i discepoli insistettero perché dimorasse con loro». La sua presenza è garanzia della nostra vita, resterà con noi fino alla fine del mondo. Nel prendere il pane gli occhi dei discepoli si aprirono e lo riconobbero. Il riconoscimento avviene dopo la parola, nel dono del pane. Il pane realizza la parola: questo è il dono dell’eucarestia lasciato a noi. Chi mangia di lui vive in eterno (cfr. Gv.6, 57). Il cuore arde perché la parola del Signore vivifica, ravviva, libera e spezza ogni schiavitù. Questo vangelo ci aiuta a discernere il passaggio del Signore nella nostra vita, Lui è presente e dimora con noi. Dalla desolazione si passa alla consolazione, alla gioia. La fede è questo rapporto personale che si alimenta nell’incontro quotidiano e assiduo della Parola e del pane.

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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