XXVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
4 ottobre 2020
Dal vangelo secondo Matteo, Capitolo 21, versetti 33-43
“ Un padrone piantò una vigna….”
Nella parabola dei vignaioli omicidi è tracciata la Storia della salvezza nelle sue tappe oscure e luminose.
Dopo l’invito a “udire la parabola” (v.33), cioè a lasciarsi giudicare e interpellare da essa, Gesù ricorda il ‘cantico della vigna’ di Isaia 5. L’applicazione chiara: dopo essersi sempre più opposti alle sollecitazioni del Signore della vigna, colpendo, uccidendo, lapidando i servi da lui inviati, nei quali si possono riconoscere i profeti (v.37), i vignaioli, cioè i responsabili del popolo, possono ancora cogliere l’ultima occasione offerta loro di pentirsi, accogliendo il Figlio, l’erede.
Mentre però Dio manifesta la sua fedeltà all’alleanza, i vignaioli vogliono appropriarsi del dono fatto loro, invece di renderne i frutti. La parabola presenta la morte del Figlio come crimine premeditato: coscienti della sua identità e della sua missione, essi lo gettano fuori (v.39) come faranno con Gesù, e lo uccidono.
L’insegnamento della parabola conserva tutta la sua attualità.
Isaia –come abbiamo visto- in un poemetto commovente, aveva paragonato Israele ad una vigna piantata, coltivata e circondata di cure da parte di Dio, nell’attesa di una ricca vendemmia, mentre essa diede uva selvatica (Is.5,4-5).
La nostra parabola inserisce ogni ascoltatore in questo oracolo profetico: il popolo eletto non ha prodotto buoni frutti, e sarà giudicato.
Ma nella parabola di Gesù c’è un particolare nuovo: la vigna viene affidata a degli amministratori.
Questo particolare inedito fa l’originalità del racconto, e ne indica l’orientamento: mostra, nella non rispondenza del popolo eletto al progetto di Dio, il pieno compimento delle parole del profeta Isaia sulla vigna.
Tuttavia il piano di Dio non subirà arresti per il comportamento degli amministratori. Il Figlio ucciso non resterà a lungo nella morte: Dio lo risusciterà.
Matteo dà importanza all’idea di un ‘nuovo popolo messianico’ suscitato da Dio, il v.43 “vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare” è per l’evangelista il punto di arrivo della parabola: il regno (la vigna) sarà dato a un popolo nuovo che dovrà produrre i frutti che Dio si attendeva, e che Israele non aveva dato.
Dio è comunque fedele, e non si rassegna alla nostra infedeltà. Egli si è impegnato con noi, rivolgendoci la Sua Parola dai profeti fino a Gesù, che è l’ultima e definitiva parola del Padre, è la ‘pietra angolare’ (di cui parla il v.42, citando il salmo 118): se accettiamo Lui siamo salvi.
L’agire del padrone della vigna suscita in noi stupore e scandalo perché, dopo aver visto tutti i suoi servi subire una sorte violenta, invia il Figlio, quasi sottovalutando il rischio a cui lo sottopone. Ciò indica la nostra distanza dal pensiero di Dio, dalla radicalità del suo amore.
L’immagine della nostra parabola raggiunge il suo pieno significato nell’Eucaristia e quando nel corso dell’Ultima Cena il Signore afferma di essere la vite, e noi i tralci innestati in Lui.
Solo chi rimane in piena comunione con Lui produce molto frutto.