16 Ott

XXIX Domenica anno C

La parabola che la liturgia di oggi ci presenta ripropone il tema ella preghiera, già trattato da Luca al Capitolo 11 del suo vangelo, ma ripreso qui in una prospettiva nuova, quella  dell’attesa perseverante, nella certezza di una risposta, da parte di Gesù.

I protagonisti di questa parabola – un giudice e una vedova – rappresentano bene due figure emblematiche: l’oppressore e l’oppresso, che non ha forze sufficienti per far valere le sue ragioni. Nell’ambiente biblico la condizione di una vedova insieme a quella dell’orfano e del forestiero, la più precaria e indifesa.

Il Signore stesso si ergerà a loro difensore.

Il racconto di Gesù pone l’accento sulla tenacia della vedova, che Egli presenta come modello della preghiera cristiana, soprattutto per la perseveranza nella certezza della salvezza finale.

L’espressione con cui Luca introduce la parabola: “pregare sempre senza stancarsi mai” ne danno l’esatta chiave di lettura.

Già il Maestro aveva offerto ai discepoli una formula di preghiera (11,1-4) e li aveva invitati a rivolgersi a Dio familiarmente, come ad un amico. In questo passo aggiunge che la preghiera deve essere continua e tenace, che bisogna pregare ‘sempre’, ma non nel senso di una preghiera cronologicamente ininterrotta, quanto piuttosto in modo fermo, che non si arrende, che non cede a stanchezza o a scoraggiamento, con una perseveranza che nasce dalla fede.

Il commento di Gesù alla parabola promette un riconoscimento dei diritti degli ‘eletti’, intesi nella Bibbia come ‘il resto di Israele’. Egli sovrappone la figura della vedova con questi eletti che giorno e notte si rivolgono a lui con un grido incessante.

Le parole di Gesù vogliono essere rassicuranti: se un giudice corrotto finisce per cedere di fronte all’insistenza di una vedova, tanto più lo farà quel giudice giusto che è Dio.

Enigmatica e terribile è la frase con cui termina il nostro brano: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. E’ vero che i suoi silenzi possono portare i credenti allo scoraggiamento, a smettere di bussare. Ma è proprio allora che la preghiera deve rivelare tutta la sua forza e permettere di attendere nella fede. E’ quello che ha sperimentato Gesù  nella notte del Getsemani: il Maestro ci insegna non a pregare per vincere ma a vincere pregando.

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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