XXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B
Mc. 8, 27-35
Nel Vangelo di Marco Gesù accetta di essere riconosciuto come Messia e Figlio di Dio solo nel momento in cui ha le mani legate davanti al sommo sacerdote e mentre è sulla croce sotto lo sguardo del centurione romano. Si diventa discepoli solo rinunciando alle proprie ragioni, alle proprie rivendicazioni, ai propri tempi. Ecco cosa vuol dire rinnegare se stessi. Solo in questo modo ci liberiamo infatti del nostro io ingombrante per lasciare posto alla logica del Vangelo: prendere su di sé la propria croce. Il punto infatti non è tanto la sofferenza, ma come la viviamo. La croce, in queste parole di Gesù, non è la sventura che si abbatte su di noi, ma è il modo di pensare e di affrontare le vicende della vita ogni giorno alla luce della parola del Vangelo. Prendere la croce ogni giorno vuol dire assumere il Vangelo come criterio delle nostre scelte: e questo è davvero faticoso! Laddove ci verrebbe voglia di distruggere, cercare vendetta, farci giustizia da soli, siamo chiamati invece a perdonare, a consegnare, a confidare nell’ira di Dio che ha i suoi tempi e i suoi percorsi. Il discepolo dunque è chiamato a rinnegare se stesso, a prendere la croce e soprattutto a seguire, più precisamente a mettersi dietro a Gesù. Per lo più invece noi vogliamo metterci davanti a lui, vogliamo fare la nostra strada, vogliamo costruire i nostri progetti, preferiamo fare le nostre scelte e poi chiediamo a Dio di benedire quello che abbiamo costruito. Gesù ci chiede invece di metterci dietro a lui e seguirlo anche dove non avremmo voluto andare, ci chiede di seguirlo anche quando si tratta di attraversare con lui la sofferenza. È proprio in quei momenti che ci troviamo a scegliere tra perdere la vita o salvarla: perdiamo la vita quando preferiamo seguire le nostre logiche, illudendoci di vincere, salviamo la nostra vita quando scegliamo di seguire Gesù, sebbene agli occhi del mondo sembriamo dei perdenti.