
VIII Domenica Del Tempo Ordinario – Anno C
Lc. 6, 39-45
In questa domenica Gesù ci dona un concentrato di insegnamenti di grande sapienza, con una fortissima carica provocatoria per la nostra vita cristiana. Attraverso l’immagine del cieco che guida un altro cieco, il Maestro ci invita a riflettere sul nostro ruolo di guide per i nostri fratelli. A vario titolo tutti facciamo esperienza, consapevolmente o inconsapevolmente, di essere guide per gli altri. Pensiamo ad esempio ai genitori, agli insegnanti, agli educatori, ai leaders delle nazioni, alle guide spirituali, ma anche ai semplici e spiccioli consigli che ogni giorno siamo chiamati a dispensare o che noi stessi sollecitiamo dagli altri. Per tutto e per tutti vale lo stesso principio: se chi deve guidare non ci vede bene, non ha un contatto con la realtà, non può seguire chiaramente il percorso e non può distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Per mantenersi nella luce, Gesù ci indica la strada del vero discepolato, quella di chi sa di essere sempre in crescita, di chi non si sente mai arrivato, ma continua ogni giorno a misurarsi con la statura del Maestro, che ci supera sempre infinitamente. Nella vita cristiana non può mai verificarsi il detto popolare secondo cui “il discepolo supera il Maestro”. Il nostro Maestro, Cristo, è sempre assolutamente insuperabile! La sottolineatura sul senso della vista prosegue poi attraverso l’altra immagine, quella della pagliuzza e della trave nell’occhio. Il messaggio è chiaro e pungente: quando abbiamo la presunzione di voler correggere i nostri fratelli, per piccole o grandi mancanze, dovremmo sempre ricordare che noi siamo rei di altrettante mancanze, spesso più grandi di quelle che vorremmo correggere. Questo non significa che la correzione fraterna sia bandita, dal momento che Gesù stesso la consiglia caldamente nel Vangelo, ma che questa delicata operazione si deve fare con grandissima delicatezza e attenzione. Senza l’umiltà di chi è consapevole di farlo per il vero bene dell’altro senza scivolare nella sottilissima tentazione dell’orgoglio e del sentirsi migliori, difficilmente la correzione fraterna ottiene i frutti sperati. Il porsi sul piedistallo delle proprie sicurezze con la sicumera di chi si sente migliore degli altri è segno dell’ipocrisia tanto biasimata da Gesù. La vera sfida per la nostra vita cristiana, infine, resta quella della conversione del cuore, che si realizza mediante la costante purificazione e illuminazione dello sguardo e lo stare in uno stato permanente di discepolato in piccolezza ed umiltà. Quando il cuore è buono, i pensieri, i desideri, le parole e le azioni che da esso sgorgano, sono altrettanto buone.