IV Domenica di Pasqua Anno C
“Le mie pecore ascoltano la mia voce”
Vangelo di Giovanni, Capitolo 10, versetti 27-30
Chi può definirsi autentico gregge di Dio ? Spesso, come nel nostro brano, affiora questo interrogativo polemico che vuol dimostrare che è Gesù –non la Legge o la Sinagoga- la via per la salvezza, accessibile a tutti; Egli è il Messia di Dio, l’unico pastore che conduce le pecore fuori dal recinto del giudaismo, raccoglie quelle disperse (come dirà S.Giovanni nel capitolo seguente del suo vangelo) per costruire il nuovo tempio, il gregge autentico della comunità di Gesù.
Il brano che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione va letto nel suo contesto, in continuazione col discorso del Buon Pastore. Utilizzando due immagini collegate, Gesù si rivela come “la porta delle pecore”, cioè come il vero tempio e il luogo dell’incontro con Dio, come colui che ci fa accedere alla salvezza e che rivendica per sé il titolo di “Pastore” (vedi Salmo 23). Egli è il ‘buon pastore’ (letteralmente si dovrebbe tradurre ‘bel pastore’) proprio per il fatto che liberamente e gratuitamente dà la vita per tutti: il suo gregge non si limita al solo Israele, ingloba tutta l’umanità !
Ma il discorso di Gesù non riguarda solo i ‘capi’ o le autorità farisaiche, riguarda ogni uomo, ogni ‘pecora’ chiamata ad una opzione fondamentale e decisiva, come emerge appunto dal nostro brano evangelico.
Gesù stava passeggiando sotto il portico di Salomone, e i giudei (cioè i capi del popolo), fecero cerchio attorno al maestro per provocarlo, e quindi farlo condannare.
Al versetto 27 Gesù sviluppa il tema dell’ascolto-conoscenza. Il verbo ‘conoscere’ in senso biblico esprime un rapporto personale di profonda intimità amorosa, è un verbo sponsale, ed indica che tra Gesù e il suo fedele si stabilisce una intima comunione. Nasce così il modello ideale del discepolo, che è colui che “segue” il suo Pastore: Il verbo ‘seguire’ esprime un’adesione che ricalca le orme del Maestro e porta a una condivisione di vita e di destino (come vediamo già nel I° Libro dei Re, capitolo 19, v.20), all’ascolto docile della sua voce: e tutto ciò dona pace e sicurezza al fedele.
“Il pastore non lascia perdere e rapire le sue pecore” (v.28): il Suo è un amore che salva, un amore che avvolge il discepolo nella sfera stessa di Dio.
Al versetto 30 Gesù afferma di essere una sola cosa con Dio, e le sue parole si rivelano scandalose per gli orecchi increduli dei giudei. L’affermazione di Gesù, per chi non ha fede, appare veramente inaudita!
Ma, proprio perché difesi dal pastore che dà la vita, coloro che credono in Lui “non si perderanno mai”: il termine indica la perdizione definitiva in cui sfocia ogni tentativo cosciente di cercare la salvezza fuori di Cristo. I credenti invece sono nella sua mano, che è la stessa del Padre e vivono sicuri “in Lui” che li pone al riparo da chi tenta di manipolarli o di portarli alla perdizione.
Prima della sua immolazione Gesù pregherà perché “tutti siano uno” in Lui. E’ il sogno del Buon Pastore: noi siamo un dono del Padre a Gesù, ed Egli ci fa “suoi” attraverso la sua ‘guida’ (la sua Parola) e il suo ‘pascolo’ (l’Eucaristia), per poi riconsegnarci al Padre.