17 Dic

III Domenica di Avvento – Anno B

Gv. 1, 6-8; 19-28

Giovanni non è un profeta come tutti quelli dell’Antico Testamento perché ormai la Parola di Dio parla agli uomini in Gesù di Nazareth. Pur essendo solo “voce”, Giovanni è grande perché è un testimone, una voce che contiene la Parola. Questo è il significato della testimonianza cristiana, nel senso che il cristiano non deve fare altro che questo: avere la Parola dentro la propria vita.

Sono chiare le parole di Paolo VI quando, pensando soprattutto alla mentalità dell’uomo di oggi, affermava: “Più che di maestri, abbiamo bisogno di testimoni”. Nell’esperienza, la parola e la vita si uniscono e ne nasce la testimonianza, la sola capace di trasmettersi agli altri. Senza la testimonianza non c’è né comunicazione né comunione. Se l’opposto della testimonianza, la menzogna (che è falsa testimonianza), è il reato più grave, l’origine degli altri mali (come insegna il racconto del peccato di origine), la testimonianza – al contrario – fonda la cultura e la storia.

Nel tempo di Avvento si staglia la figura del Battista, la voce prestata all’attesa di Israele e di tutta l’umanità. Nella voce di Giovanni vi è anche l’eco di ogni grido di uomo che non cessa di sperare. A differenza dei nostri mass media, che troppo spesso giustificano l’esistente e stanno comunque dalla parte del potente di turno, Giovanni – da vero profeta – svela la falsità e l’ingiustizia e, dando voce ai poveri e agli oppressi, riaccende in loro il desiderio di verità e di salvezza. Come profeta e testimone (martire) autentico, anche Giovanni subì il trattamento riservato a chi si vuol far tacere: la testa tagliata. Ma il suo compito è stato assolto, la Parola è stata udita e l’Agnello è stato indicato.

Il Vangelo dice che Giovanni venne “per rendere testimonianza alla luce”; e resta lui stesso come un faro nella notte perché è il testimone che ricorda, che ha nel cuore la Parola e la mette in pratica.

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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