07 Mar

II Domenica di Quaresima – Anno A

08 marzo 2020

Dal Vangelo secondo Matteo, 17,1-9

Il racconto della trasfigurazione, nei vangeli sinottici, è strettamente collegato con il riconoscimento della messianicità di Gesù da parte dei discepoli.  Siamo ad un passaggio culminante della narrazione evangelica. Il nostro racconto ha un chiaro sottofondo veterotestamentario, con molti riferimenti all’esperienza di Israele nel suo cammino verso la terra promessa. La menzione dell’alto monte, la presenza di Mosè ed Elia, la nuvola e le tende sono richiami evidenti che quanto sta accadendo dice compimento di eventi che hanno segnato la storia del popolo eletto .

“E fu trasfigurato davanti a loro” (v.2): il verbo al passivo è indice che questa trasformazione ha come agenti principale Dio stesso. Il cambiamento di aspetto, il volto che splende come il sole e le vesti candide come la luce sono certamente un’allusione al destino di gloria verso cui il Cristo è incamminato.

La presenza di Mosè ed Elia, oltre che conferma della legge e dei profeti che attestano la corrispondenza del  cammino di Gesù alle Scritture, diviene anche profezia della risurrezione. Infatti Elia rapito sul carro di fuoco e Mosè di cui è ignoto il luogo della sepoltura, indicano che il Messia, obbediente e sofferente come i grandi interlocutori di Dio dell’A.T., non cammina verso l’ignoto, ma verso l’incontro con Dio.

L’esperienza della trasfigurazione coinvolge anche i sensi dei presenti: essi vedono, ascoltano, sono toccati da Gesù (v.7), ciò ci suggerisce l’importanza di trovale l’unità nella spiritualità cristiana, evitando i dualismi che spesso l’hanno segnata, contrapponendo corpo e anima, sensi e spirito, mentre l’autentica esperienza spirituale è esperienza di tutto l’uomo. E non si tratta di esperienze mistiche riservate a pochi, ma all’esperienza normale del credente che, ascoltandola Parola vede nella fede il volto di Cristo, tocca la sua presenza, gusta la consolazione dello Spirito.

Se è vero che i grandi eventi dell’Esodo sono il sottofondo del racconto (cfr. Es.33,7-11), è anche vero che l’intervento di Pietro è il culmine del racconto, che sposta l’attenzione sui discepoli: Pietro Giacomo e Giovanni devono fissare lo sguardo sul volto di Cristo, ma ancora di più porre la loro attenzione sulle parole che egli ha pronunciato in precedenza circa la croce, e ora solennemente ratificate del Padre. Sono di fronte all’annuncio del mistero pasquale nella sua unità inseparabile di morte e risurrezione. E il loro cadere con la faccia a terra (v.6), è causato più da ciò che odono (ed è in perfetto parallelismo con l’episodio del battesimo in Mt. 3,17) che da ciò che vedono: a questo disegno di morte e risurrezione anch’essi dovranno conformarsi.

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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