
Due giovani, un’unica fede: Pier Giorgio Frassati e Matteo Farina
Ci sono vite che, pur lontane nel tempo e nello spazio, sembrano specchiarsi l’una nell’altra. È il caso di Pier Giorgio Frassati (1901–1925), giovane torinese proclamato beato da Giovanni Paolo II e canonizzato da Papa Leone XIV, e di Matteo Farina (1990–2009), ragazzo brindisino dichiarato venerabile da Papa Francesco.
Due epoche diverse, due contesti differenti, ma un’unica chiamata: vivere il Vangelo con radicalità e gioia.
Matteo stesso, durante la sua breve vita, ebbe modo di leggere la biografia e gli scritti di Pier Giorgio Frassati, trovando in lui un modello di santità laicale e giovanile. Questo legame ideale rende il loro parallelo ancora più sorprendente e fecondo.
La preghiera come respiro
Per entrambi la preghiera non era un dovere, ma un’amicizia viva che si esprimeva soprattutto mediante la preghiera del rosario: Pier Giorgio portava il rosario sempre con sé, recitandolo in montagna, per strada, con gli amici. Non esitava a fermarsi per un’adorazione notturna o per la Messa quotidiana, anche a costo di sacrificare il sonno. Matteo, fin da bambino, si affidava alla “Madonnina” e non lasciava mai il rosario, nutrendosi della Parola e dei sacramenti. Leggeva il Vangelo con costanza e si confessava frequentemente.
La loro fede non era astratta: era un dialogo quotidiano con Dio che dava forza e orientava ogni scelta. Certamente Matteo, leggendo la vita di Frassati, riconobbe in lui un fratello maggiore nella fede, un esempio concreto di come la preghiera possa diventare il cuore pulsante di ogni giornata.
La carità come stile di vita
Anche la carità non fu per loro un gesto straordinario, ma un’abitudine del cuore.
Frassati, membro della San Vincenzo, visitava i poveri e i malati di Torino, portando medicine e conforto. Soleva dire: «Gesù mi fa visita ogni mattina nella Comunione, io la restituisco nel misero modo che posso, visitando i poveri».
Entrambi hanno vissuto la carità come naturale conseguenza dell’amore per Cristo. Matteo, leggendo le pagine che raccontavano le notti di Pier Giorgio tra i poveri di Torino, avrà trovato conferma che la vera grandezza sta nel chinarsi sugli ultimi. Anch’egli infatti, pur segnato dalla malattia, non smetteva di incoraggiare i compagni, di pregare per gli altri degenti, di offrire la sua sofferenza con serenità.
Laici, giovani, radicati nella Chiesa
Né preti né religiosi, ma laici immersi nella vita quotidiana. Pier Giorgio era attivo nell’Azione Cattolica, nella FUCI e nel Partito Popolare, convinto che la fede dovesse incidere anche nella società. Matteo cresceva nella parrocchia Ave Maris Stella di Brindisi, animato dallo spirito francescano dei Cappuccini, vivendo la sua fede nella comunità e tra i coetanei.
La loro santità è la prova che la vocazione universale alla santità passa anche attraverso la vita laicale, vissuta con coerenza e passione. Chissà se, proprio leggendo la biografia di Frassati, Matteo scoprì che non servono ruoli speciali per essere santi: basta vivere il Vangelo nel quotidiano.
La forza dell’amicizia
Entrambi hanno dato vita a gruppi che univano fede e gioia. Pier Giorgio fondò il gruppo dei Tipi Loschi, un sodalizio di amicizia, preghiera e allegria, dove la fede si intrecciava con lo sport, la musica, le gite in montagna. Matteo creò con gli amici la band No Name, usando la musica come strumento di testimonianza e di evangelizzazione.
La fede, per loro, non era mai solitaria: era condivisa, contagiosa, comunitaria. Frassati sosteneva che la fede deve essere vissuta allegramente: «Finché la fede mi darà la forza sarò sempre allegro. Ogni cattolico non può non essere allegro; la tristezza deve essere bandita dagli animi dei cattolici». Quella stessa allegrezza contagiosa spingeva Matteo a condividere la sua fede coi compagni di scuola, e i ragazzi che incontrava per strada.
Evangelizzatori tra i giovani
Frassati trascinava i coetanei con la sua gioia, invitandoli alla Messa e alla preghiera, mostrando che la fede non toglie nulla, ma dona tutto. Matteo si definiva “un infiltrato di Dio tra i giovani”, desideroso di contagiare con l’Amore, con un linguaggio semplice e diretto. Due linguaggi diversi, ma la stessa missione: portare Cristo nel cuore dei loro amici.
La malattia come via alla santità
Pier Giorgio morì a 24 anni di poliomielite fulminante, contratta visitando i malati. Matteo affrontò per quasi sei anni un tumore cerebrale, senza mai perdere la speranza né la gioia. Entrambi hanno trasformato la sofferenza in offerta, mostrando che la croce, vissuta con fede, diventa luce. Son convinto che Matteo, leggendo la testimonianza della morte serena di Pier Giorgio, trovò un compagno di cammino nella propria via dolorosa.
Conclusione: modelli per oggi
Pier Giorgio e Matteo sono due fari per i giovani di ogni tempo. Il primo scalò le vette alpine con il rosario in tasca; il secondo percorse le corsie d’ospedale con un sorriso e una chitarra. Entrambi ci ricordano che la santità non è lontana, ma possibile, concreta, quotidiana.
«Verso l’alto!» (Frassati) e «Contagiare con l’Amore» (Farina): due motti, due epoche, un’unica fede: Cristo, la vera vetta da raggiungere.
Lettera immaginaria di Matteo a Pier Giorgio Frassati
Caro Pier Giorgio,
ho appena terminato di leggere il racconto della tua vita. Non ti nascondo che, tra le pagine che raccontano le tue giornate, ho sentito come un’eco familiare, quasi la voce di un fratello maggiore che mi prende per mano. Tu sei vissuto tanti anni prima di me, eppure il tuo cuore batteva allo stesso ritmo del mio: il ritmo del Rosario, della Messa quotidiana, dell’amicizia con Cristo.
Anch’io, come te, porto nel cuore la corona del Rosario: è la mia arma, la mia forza, la mia consolazione. Tu affermavi che con il Rosario si può scalare ogni montagna. Io, che non posso più salire le tue amate vette alpine, sento però che ogni Ave Maria mi fa salire un passo verso il Cielo.
Ho letto di come visitavi i poveri di Torino, portando medicine e conforto. Io non ho la tua stessa possibilità di camminare per le strade, perché la malattia mi tiene fermo, ma nel mio piccolo cerco di offrire un sorriso, una parola buona, una preghiera per chi soffre accanto a me. Tu dicevi: «Gesù ogni mattina nell’Eucaristia mi fa visita, io con i miei mezzi modesti gliela restituisco nel misero modo che posso, visitando i suoi poveri nel pomeriggio». Io, quando ricevo l’Eucaristia, penso che la mia offerta sia proprio questa: unirmi a Cristo e donare la mia sofferenza per gli altri.
Anche tu non eri sacerdote né religioso, ma un giovane laico, immerso nella vita della tua città. Io, nella mia parrocchia di Brindisi, ho trovato la stessa gioia di servire, di crescere con i miei amici nella fede. Tu avevi i tuoi Tipi Loschi, io i miei No Name: due gruppi diversi, ma nati dallo stesso desiderio di vivere la fede insieme, con allegria e coraggio.
Mi ha colpito la tua gioia contagiosa, il tuo modo di trascinare i giovani verso Cristo. Io sogno di essere «un infiltrato di Dio tra i giovani, per contagiarli con l’Amore». Tu lo sei stato prima di me, con la tua vita limpida e coerente.
Ora, fratello, ti confido la mia croce. Da anni porto dentro di me una malattia che consuma il corpo, ma non la speranza. Tu sei morto giovane, a ventiquattro anni, colpito dalla poliomielite. Io non so quanto tempo mi resta, ma so che ogni giorno mi avvicina un po’ più al Cielo. Probabilmente lo pensavi anche tu. Io lo ripeto con te, e lo vivo come certezza.
Pier Giorgio, aiutami a guardare verso l’alto, come amavi dire. Io desidero raggiungere la stessa vetta che tu hai già scalato: Cristo, il nostro Amico, il nostro Tutto.
Se Dio vorrà, un giorno ci incontreremo lassù, e allora canteremo insieme la gioia di aver vissuto, pur tra le prove, la bellezza del Vangelo.
Con umiltà e speranza,
tuo fratello in Cristo,
Matteo
di Giuseppe Colabufo